
Per agire fra quei vicoli e in quei «bassi» — l'abbiamo dovuto constatare molte volte, nel nostro lavoro — devi avere una sensibilità non comune, una capacità vera di partecipare alle sofferenze e ai sentimenti di chi hai davanti. Ma, per farti accettare e seguire, devi avere anche un'idea forte. Che indichi una meta concreta, più alta, raggiungibile.
Nel 2006 Marco Rossi Doria provò a sfidare, come candidato della società civile, l'accoppiata Bassolino-Iervolino nella corsa a sindaco della città. Dovette ritirarsi in buon ordine. La macchina da guerra bassoliniana non era ancora naufragata nella vergogna mondiale dei rifiuti per strada, fino a toccare il primo piano delle case. Lui ha continuato ad occuparsi — come se nulla fosse — di dispersione scolastica, di disagio sociale ed esclusione precoce. S'è battuto con passione e competenza — come sempre —, contro lo «sfascio della scuola pubblica».
Se una nemesi era immaginabile, dopo la protervia e l'ignoranza di Maria Stella Gelmini, non poteva essercene una più netta. Per invertire il senso di marcia rovinoso impresso da un ministro naufragato nel ridicolo, c'era bisogno di persone così: sapienti ed empatiche, competenti e generose. Capaci di restituire il valore profondo a un nome semplice, che ha accompagnato l'infanzia di molte generazioni d'italiani: «maestro». Non è detto che basti, in un ministero. E con pochi soldi a disposizione. Comunque sia, buon giorno maestro Rossi Doria. E buon lavoro.
■ (martedì 29 novembre 2011)
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