Se lo prenderanno loro, i senegalesi, il compito di aprire domani il corteo fiorentino che si annuncia grande. Percorreranno le strade del vigliacco «tiro a segno» sugli uomini di colore. E rivendicheranno diritti umani e partecipazione sociale dopo il terrore scatenato contro il colore della loro pelle: «una manifestazione che segni un cammino nuovo», ha scritto il coordinamento dei senegalesi. A seguire ci saranno, alle loro spalle, associazioni, centri sociali e partiti. Ed anche qualche testa calda.
Ecco, mi farebbe piacere se, all'occorrenza, replicassero la scena di martedì sera. A fermare i più esagitati, tre ore dopo il secondo raid razzista, erano stati loro stessi: e le teste calde — l'ho visto coi miei occhi — avevano una pelle diversa dal colore delle mani che li stavano bloccando.
Di lì a poco si sono riuniti tra il Battistero e il sagrato del Duomo. A condividere assieme dolore e preghiere. Non a «lasciarci il loro piscio musulmano», come scrisse Oriana Fallaci in una delle sue più orride invettive razziste. A supporto del suo furente «scontro di civiltà». Quello che fa da alibi (cosiddetto «culturale») a ferocia, idiozie e disprezzo che hanno insanguinato i mercati di Firenze. E attizzato la periferia di Torino.
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