
Solo un problema di «modi»? Non proprio. A Palazzo Madama facevano gazzarra col fischietto in bocca, mentre a Montecitorio — sempre loro, i leghisti — evitavano, in un'aulaletta laterale, per l'ennesima volta, il carcere al boss campano del Pdl, Nicola Cosentino. Inutilmente, l'ex ministro dell'Interno Maroni aveva provato a convincere il suo rappresentante nella Giunta delle autorizzazioni della Camera a concedere quello che i magistrati campani chiedono ripetutamente da mesi.
Eppure, da ex titolare del dicastero in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, Maroni ne sa certamente qualcosa in più dell'oscuro on. Luca Paolini, sul ruolo dell'ex viceministro all'Economia. Indicato dai magistrati come referente politico dei Casalesi. Niente da fare. L'ordine di salvare il «soldato Cosentino» — o, quantomeno, di fargli passare Natale a casa — era partito da Bossi in persona. Dopo aver parlato con Berlusconi. Terrorizzato, quest'ultimo, che il suo deputato campano «vuoti il sacco», ha osservato Roberto Saviano. Che quei contesti conosce bene, e ha raccontato anche meglio.
«Nicola Cosentino non è l'ennesimo politico accusato di essere un uomo della camorra», scrive Saviano. «È la storia di Forza Italia e del Pdl in Campania. Dalle sue mani di viceministro all'Economia sono passati i finanziamenti della Comunità Europea. È un imprenditore e un politico influente in tutto il Mezzogiorno; non è quindi solo un politico locale. È presente nei grandi affari, quelli raccontati dall'inchiesta P3, è in grado di distruggere l'immagine dei suoi nemici politici, anche dello stesso partito (vedi affaire Caldoro e macchina del fango)».
Riusciranno i «moti senatoriali» a distogliere militanti leghisti e opinione pubblica dall'ennesimo scambio sottobanco tra Bossi e Berlusconi, in corso da un decennio?
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