

Le testimonianze dei passeggeri e le ricostruzioni dei giornalisti fatte a caldo sono impietose. Una città galleggiante di cinquemila persone affidata a una ciurma impreparata, senza neanche una lingua comune per comunicare, fra loro e coi passeggeri. Nelle mani di un comandante incapace. Prima Schettino avvicina la nave dove non avrebbe dovuto, per fare un misterioso "inchino", a suon di sirene, agli isolani del Giglio — più probabilmente a qualcuno in specifico. Poi se la dà a gambe, senza neanche curarsi che tutti gli ufficiali fossero rintracciati (il commissario capo di bordo è stato recuperato dalla nave trentasei ore dopo, con una gamba rotta, per aver aiutato — lui sì — i passeggeri in fuga). Coi soccorritori che fanno la spola tra nave e terraferma fino all'alba, e lui già sul molo, all'asciutto. Un'infamia, non soltanto per il codice d'onore del mare.
Ecco, è di fuga dalle proprie responsabilità che ci parla il comportamento del comandante Schettino. E non solo il suo, certo. Si può autorizzare la navigazione di una nave da crociera di centoquattordicimilacinquecento tonnellate di stazza senza verificare (costantemente) che uomini e strutture siano all'altezza di compiti e procedure di sicurezza? No, non si può. E nel biglietto della crociera non sono previste le batterie dei segnalatori luminosi di uomo in mare? Anche questo andrà chiarito. Ma è lui per ora, il comandante vile, a lasciare sgomenti. E a farci pensare ai tanti comandanti, tronfi e approssimativi, che raccontano balle e scappano quando la nave affonda. Quanti ve ne vengono in mente, nei vostri uffici o nelle vostre officine? O nel nostro paese? E mica solo in Italia.
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