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▇ «Diremo no a dieci, cento, mille Alitalia», ha tuonato il nuovo capo di Confindustria. Carlo Bonomi s’è insediato ieri col 99,9% a porte chiuse causa coronavirus. E ha scelto uno degli slogan più popolari e sdruciti per dire altolà alla presenza dello Stato in economia. Slogan popolare e sdrucito. Sarà anche vero? Grattiamo sotto la vernice delle frasi fatte e di facile consenso. Senza risalire ad Adamo ed Eva, guardiamo gli ultimi dodici anni.
Tornato al governo sulle ali di un consenso altissimo, Silvio Berlusconi nel 2008 bocciò l’accordo con Air France-Klm. Nella nuova aviolinea con francesi e olandesi, l’Italia avrebbe incassato 2,4 miliardi di euro − ripianando i debiti finanziari di Alitalia − e avrebbe conservato una quota del 24% nella compagnia aerea più grande del mondo (dati 2007). Alla cloche dell’ex compagnia di bandiera, il cavaliere di Arcore insediò, invece, un drappello di imprenditori di “pura razza padana”, in nome della sua sventolata “italianità”. «Venti cavalieri che hanno privatizzato Alitalia e affondato il Paese» li definì il libro Capitani coraggiosi edito da Chiarelettere nel 2011, scritto − e ben documentato − da Gianni Dragoni, autorevole giornalista del Sole 24 Ore di Confindustria non del quotidiano comunista il manifesto. «Siete dei patrioti», proclamò da Palazzo Chigi il presidente del Consiglio, ricevendo i venti guerrieri col tricolore incorporato. Alla cui testa avevano messo Roberto Colaninno. L’uomo giusto al posto giusto. Il patron della Piaggio era stato beneficato da Olivetti e Telecom Italia con una maxi liquidazione di 25,8 milioni di euro per la sua finanza creativa − manco a dirlo, fallimentare.


Con l’«Operazione Fenice» − di cui ho scritto qui il 4 gennaio 2012 −, l’advisor Passera (arbitro per il governo e creditore per Intesa San Paolo) carica sulla bad company, e quindi sulle nostre tasse, il recupero dei debiti fatti da un capitano coraggioso ante litteram. Col contributo decisivo del bad journalism, imperante ieri come oggi. La memoria dei disastri economici e finanziari si affievolisce nella coscienza civile del Paese ogni giorno che passa. E l’Italia si predispone a riviverli a intervalli ciclici.
Torniamo ora alle cattive compagnie aeree del nuovo capo di Confindustria. Non prima di aver richiamato l’allegra stagione degli sceicchi di Ethiad sbarcati dagli Emirati Arabi Uniti in Italia. Tutto cominciò nel 2014, sei anni dopo il sonoro fiasco dei “capitani coraggiosi”. E fu propiziata dal figlio politico che Berlusconi ha sempre voluto avere, l’ex premier Matteo Renzi, ancor oggi ben accolto a Abu Dabi, per uno speech a pagamento o un cocktail lobbistico.
Alla vigilia dell’Expo 2015 a Milano, a capo del tricolore stampigliato sul timone di coda fu messo Luca Cordero di Montezemolo − ve lo ricordate? −, volto glamour del made in Italy. L’esito? Altre perdite dagli imperturbabili imprenditori privati, che la fanno sempre franca. Altri commissari e arbitri, gli unici a guadagnarci secco. Altri debiti scaricati sulla finanza pubblica, con cassa integrazione e prepensionamenti. Per tacere del resto: i licenziamenti, il taglio ai salari e la precarietà dei dipendenti.
Presentato come un capo smart per la Confindustria 4.0, Carlo Bonomi ha subito puntato lo sguardo sul Piano Strategico 2030-2050. Un imprenditore che corre veloce, quindi. Benedetto − con quella percentuale bulgara − dal voto dei «venti cavalieri che hanno privatizzato Alitalia e affondato il Paese». Per non inciampare − correndo − nei lacci delle scarpe dei colleghi suoi illustri, potrebbe consultare l’archivio del suo giornale. Troverà più di uno spunto utile per il suo galoppo, oltre a quelli accurati dell’ottimo Dragoni. Per stare al tema dell’aviazione commerciale, potrebbe farsi preparare un dossier sul salvataggio, in questi giorni, della principale compagnia aerea tedesca.
Per salvare Lufthansa, la cancelliera Merkel mette sul tavolo 9 miliardi di euro in cambio di due posti in Consiglio di amministrazione e il 20% delle azioni, fino a quando i soldi prestati non saranno restituiti allo Stato. Uno scandalo, dottor Bonomi? o il minimo sindacale per evitare che, coi soldi pubblici in pancia, ripartano all’impazzata dividendi, stock options, e furbate d’ogni genere nella catena dei profitti privati attraverso le perdite pubbliche? È pregiudizio anti impresa anche questo? Forse è solo esercizio della responsabilità sociale dell’impresa economica: è scolpito all’articolo 41 della Costituzione repubblicana. I tedeschi, dalle loro parti, la chiamano «economia sociale di mercato». Voilà!
Ecco il punto. Ci si può sempre guardare attorno con mente aperta, per cambiare le cattive compagnie (non solo aeree). Si può abbassare il ditino accusatore ai tavoli che gestiranno buona parte degli 80 miliardi di euro stanziati dal governo, e degli altri 100 miliardi in arrivo da Bruxelles. Si potrebbe cominciare − per dire − dai 6,3 miliardi chiesti dalla famiglia Agnelli per Fca con garanzia dello Stato italiano. Nella fusione Psa-Fca dei prossimi mesi, lo Stato francese è già seduto al tavolo degli azionisti. Sarebbe così strano che ci fosse anche quello italiano? C’è da risalire la china dei disastri economici provocati dal coronavirus. C’è da evitare l’eterno miracolo italiano del capitalismo di relazione. Fatto − è necessario specificarlo ancora? − con i soldi del contribuente gabbato. Quasi sempre ignaro.
■ (giovedì 21 maggio 2020)